da La Nazione, Firenze Sabato 9 Dicembre 1876
"L'isola di Favignana (la
Aegusa degli antichi) dovrebbe essere ritenuta come un santuario del patriottismo siciliano, cioè dell'antico Regno delle Due Sicilie. Fra i tanti infelici liberali trascinativi dai Borboni o a domicilio coatto, cito il generale Tapputi, lo Angioletti, Cerentanni, Curzio, Ricciardi, il benemerito Carlo Ottone principe di Castelnuovo, i due fratelli Gregorio e Francesco Ugdulena, l'uno insigne orientalista e archeologo, l'altro bravissimo grecista.
Del forte e del carcere di S. Caterina in ispecie ebbi a scrivere qualche mese fa, che converrebbe conservarlo come un monumento classico nel suo genere, un monumento di Barbari. Era un di quei carceri siciliani, che il Gladstone, dopo averli visitati, denunziò dalla camera inglese all'Europa civile, e, stigmatizzando il Governo che li teneva, disse che era
la negazione di Dio.
Era mio compagno e guarda in quel forte il mio buon amico Benedetto Angileri, che fu testimone delle sofferenze degli ultimi condannati politici, ivi raccolti, e me ne dava un tristissimo ragguaglio.
La fortezza è elevata sul livello del mare 344 metri, a forma di una piramide, coperta spessissimo da folta nebbia.
Passando attraverso un corridoio arcato, vi aprono ai lati due prigioni: una a destra, quella di Giovanni Nicotera, a sinistra quella ove stettero rinchiusi i suoi 15 compagni, misero avanzo della spedizione di Sapri.
Penetrato nella prima delle due, la più orribile, sacro orrore di chi passa per un luogo, direi quasi sacrificato dalla sventura e dall'amor di patria, in principio non vidi nulla tanto è grande il buio che regna dentro a questa bolgia di Dante. Feci portare alcune candele e, al lume di esse, potei averne una completa idea.
Sonvi in quella fossa due letti da campo o giacigli in pietra, larghi all'incirca metri 2,40, lunghi metri 7,20; dal suolo alla volta lo spazio nobn è più alto di 4 metri.
Nelle mura del carcere trovai scritta a lettere di carbone le iscrizioni che seguono, e che vi trascrivo nella loro genuina esattezza epigrafica.
Nel muro, a sinistra del carcere:
Fu questa tremenda
segreta dove giacque
Giovanni Nicotera
vittima di quella infame dinastia
sbalzata più tardi dal trono
di Napoli per sua
cooperazione.
Evidentemente fu scritta dopo il 1860 e la scarcerazione del condannato. Nel muro stesso è un loculo per il lume. Di fronte, sull'altro giaciglio a destra, è quest'altra terribile epigrafe:
Iddio liberi uno
sventurato di
questo luogo che senza
il suo aiuto vi
trova morte!
Vicino ad essi leggesi:
Qui fu sepolto vivo lo sventurato
ergastolano politico Giovanni Nicotera.
Nella stanza stessa è quest'ultima tristissima descrizione:
O tu che avrai la sventura
di stare in questo luogo
preparati a soffrire tutti i tormenti.
Sarai punzecchiato da migliaia di
zanzare, oppresso dal fumo, quando
piove vedrai sorgere l'acqua dal suolo.
Sarai afflitto da forti dolori a causa dell'umidità
che ti farà trovar tutto bagnato.
sarai appestato dal fetore del vicino luogo
immondo...
Le due ultime sono di mano del barone Nicotera, come mi assicurò egli stesso, a cui ne mandai una copia trovandomi ultimamente in viaggio per l'Africa.
Gli altri ricordi del taccuino si riferiscono alle altre carceri di questa stessa fortezza, e che conto di pubblicare io stesso nel mio lavoro.
G. Polizzi"