Su la 7 intervista ad Andrea Camilleri sul senso dell'Unità d'Italia 150 dopo la spedizione dei Mille:
Gli studenti dell'IC "A. Rallo" hanno elaborato, attraverso la lavagna interattiva, la rotta seguita dai Mille presso le isole Egadi.
da La Nazione, Firenze Sabato 9 Dicembre 1876
"L'isola di Favignana (la Aegusa degli antichi) dovrebbe essere ritenuta come un santuario del patriottismo siciliano, cioè dell'antico Regno delle Due Sicilie. Fra i tanti infelici liberali trascinativi dai Borboni o a domicilio coatto, cito il generale Tapputi, lo Angioletti, Cerentanni, Curzio, Ricciardi, il benemerito Carlo Ottone principe di Castelnuovo, i due fratelli Gregorio e Francesco Ugdulena, l'uno insigne orientalista e archeologo, l'altro bravissimo grecista.
Del forte e del carcere di S. Caterina in ispecie ebbi a scrivere qualche mese fa, che converrebbe conservarlo come un monumento classico nel suo genere, un monumento di Barbari. Era un di quei carceri siciliani, che il Gladstone, dopo averli visitati, denunziò dalla camera inglese all'Europa civile, e, stigmatizzando il Governo che li teneva, disse che era la negazione di Dio.
Era mio compagno e guarda in quel forte il mio buon amico Benedetto Angileri, che fu testimone delle sofferenze degli ultimi condannati politici, ivi raccolti, e me ne dava un tristissimo ragguaglio.
La fortezza è elevata sul livello del mare 344 metri, a forma di una piramide, coperta spessissimo da folta nebbia.
Passando attraverso un corridoio arcato, vi aprono ai lati due prigioni: una a destra, quella di Giovanni Nicotera, a sinistra quella ove stettero rinchiusi i suoi 15 compagni, misero avanzo della spedizione di Sapri.
Penetrato nella prima delle due, la più orribile, sacro orrore di chi passa per un luogo, direi quasi sacrificato dalla sventura e dall'amor di patria, in principio non vidi nulla tanto è grande il buio che regna dentro a questa bolgia di Dante. Feci portare alcune candele e, al lume di esse, potei averne una completa idea.
Sonvi in quella fossa due letti da campo o giacigli in pietra, larghi all'incirca metri 2,40, lunghi metri 7,20; dal suolo alla volta lo spazio nobn è più alto di 4 metri.
Nelle mura del carcere trovai scritta a lettere di carbone le iscrizioni che seguono, e che vi trascrivo nella loro genuina esattezza epigrafica.
Nel muro, a sinistra del carcere:
"L'isola di Favignana (la Aegusa degli antichi) dovrebbe essere ritenuta come un santuario del patriottismo siciliano, cioè dell'antico Regno delle Due Sicilie. Fra i tanti infelici liberali trascinativi dai Borboni o a domicilio coatto, cito il generale Tapputi, lo Angioletti, Cerentanni, Curzio, Ricciardi, il benemerito Carlo Ottone principe di Castelnuovo, i due fratelli Gregorio e Francesco Ugdulena, l'uno insigne orientalista e archeologo, l'altro bravissimo grecista.
Del forte e del carcere di S. Caterina in ispecie ebbi a scrivere qualche mese fa, che converrebbe conservarlo come un monumento classico nel suo genere, un monumento di Barbari. Era un di quei carceri siciliani, che il Gladstone, dopo averli visitati, denunziò dalla camera inglese all'Europa civile, e, stigmatizzando il Governo che li teneva, disse che era la negazione di Dio.
Era mio compagno e guarda in quel forte il mio buon amico Benedetto Angileri, che fu testimone delle sofferenze degli ultimi condannati politici, ivi raccolti, e me ne dava un tristissimo ragguaglio.
La fortezza è elevata sul livello del mare 344 metri, a forma di una piramide, coperta spessissimo da folta nebbia.
Passando attraverso un corridoio arcato, vi aprono ai lati due prigioni: una a destra, quella di Giovanni Nicotera, a sinistra quella ove stettero rinchiusi i suoi 15 compagni, misero avanzo della spedizione di Sapri.
Penetrato nella prima delle due, la più orribile, sacro orrore di chi passa per un luogo, direi quasi sacrificato dalla sventura e dall'amor di patria, in principio non vidi nulla tanto è grande il buio che regna dentro a questa bolgia di Dante. Feci portare alcune candele e, al lume di esse, potei averne una completa idea.
Sonvi in quella fossa due letti da campo o giacigli in pietra, larghi all'incirca metri 2,40, lunghi metri 7,20; dal suolo alla volta lo spazio nobn è più alto di 4 metri.
Nelle mura del carcere trovai scritta a lettere di carbone le iscrizioni che seguono, e che vi trascrivo nella loro genuina esattezza epigrafica.
Nel muro, a sinistra del carcere:
Fu questa tremenda
segreta dove giacque
Giovanni Nicotera
vittima di quella infame dinastia
sbalzata più tardi dal trono
di Napoli per sua
cooperazione.
Evidentemente fu scritta dopo il 1860 e la scarcerazione del condannato. Nel muro stesso è un loculo per il lume. Di fronte, sull'altro giaciglio a destra, è quest'altra terribile epigrafe:
Iddio liberi uno
sventurato di
questo luogo che senza
il suo aiuto vi
trova morte!
Vicino ad essi leggesi:
Qui fu sepolto vivo lo sventurato
ergastolano politico Giovanni Nicotera.
Nella stanza stessa è quest'ultima tristissima descrizione:
O tu che avrai la sventura
di stare in questo luogo
preparati a soffrire tutti i tormenti.
Sarai punzecchiato da migliaia di
zanzare, oppresso dal fumo, quando
piove vedrai sorgere l'acqua dal suolo.
Sarai afflitto da forti dolori a causa dell'umidità
che ti farà trovar tutto bagnato.
sarai appestato dal fetore del vicino luogo
immondo...
Le due ultime sono di mano del barone Nicotera, come mi assicurò egli stesso, a cui ne mandai una copia trovandomi ultimamente in viaggio per l'Africa.
Gli altri ricordi del taccuino si riferiscono alle altre carceri di questa stessa fortezza, e che conto di pubblicare io stesso nel mio lavoro.
G. Polizzi"
All'unnici di maju, 'nto sissanta,
tuccau a Petru Missu - chi piscava -
di pilutari "I Milli" pi Marsala:
(mimìu chi scantu !... quasi ci attisava !).
All'arba, a rima, trainava a occhiati:
sbucca d'u Faragghiuni, a trarimentu,
'n mezz'a faiddi e fumu, un gran vapuri;
l'omini... comu muschi, a centu a centu.
Cantavanu... D'u ponti, c'u mecafanu,
Unu 'n cammisa russa e 'na gran varva
mi fa: "Voi della barca... per Marsala ?”
“Prua a sciloccu, e chi Diu vi sarva !”
Mi vennu quasi a mmestiri:
“ 'Na cima, chi v'accumpagnu !...”
Genti d'ogni etati... Ribbelli pimuntisi !
Maria Virgini ! Parinu foddi !...
Allegri... Tutti armati...
Chiddi di Sapri (Botta e lu Nicòtera)
'nfussati aê ferri a Santa Catarina
cumprènninu c’arriva Garibardi...
vàsanu 'i carciareri e la catina.
Aurelio
tuccau a Petru Missu - chi piscava -
di pilutari "I Milli" pi Marsala:
(mimìu chi scantu !... quasi ci attisava !).
All'arba, a rima, trainava a occhiati:
sbucca d'u Faragghiuni, a trarimentu,
'n mezz'a faiddi e fumu, un gran vapuri;
l'omini... comu muschi, a centu a centu.
Cantavanu... D'u ponti, c'u mecafanu,
Unu 'n cammisa russa e 'na gran varva
mi fa: "Voi della barca... per Marsala ?”
“Prua a sciloccu, e chi Diu vi sarva !”
Mi vennu quasi a mmestiri:
“ 'Na cima, chi v'accumpagnu !...”
Genti d'ogni etati... Ribbelli pimuntisi !
Maria Virgini ! Parinu foddi !...
Allegri... Tutti armati...
Chiddi di Sapri (Botta e lu Nicòtera)
'nfussati aê ferri a Santa Catarina
cumprènninu c’arriva Garibardi...
vàsanu 'i carciareri e la catina.
Aurelio
Il Pilota di Garibaldi
10:05 AM
Pubblicato da
Cl@sse 2.0
0
commenti
Questo il racconto della mattina dell'1o Maggio, quando Garibaldi, a bordo del Piemonte, incontra il barcone di un abitante di Favignana:
"Nel porto erano ancorate dal 10 maggio due navi militari inglesi, l’”Argus” e l’”Intrepid”, inviate dall’Ammiragliato per proteggere i sudditi britannici che vivevano a Marsala. Quando Garibaldi decise di dirigere la prua del “Piemonte” verso la città, incontrò un barcone da pesca. Al timone c’era un favignanese, Alberto Strazzera. Erano le 11 quando si vide piombare addosso le due navi cariche di soldati in camicia rossa. Fu tirato a bordo e interrogato. Garibaldi pensava che una delle due imbarcazioni ormeggiate fosse borbonica e da Strazzera voleva sapere com’era la situazione. L’uomo, spaventatissimo, disse che la squadra borbonica era partita in perlustrazione. La barca fu agganciata e Strazzera fu messo al timone del “Piemonte” per guidare l’approdo, seguita dalla “Lombardia”, più grande e pesante, che finì per incagliarsi. Sempre dubbioso sulla nazionalità della nave ormeggiata, Garibaldi meditava di assaltarla e di abbordarla. Solo avvicinandosi scoprì che era inglese."
Ma quali importanti informazioni diede Alberto Strazzera?
Il pescatore, dunque, informò Garibaldi che le navi meridionali di pattuglia avevano lasciato la città siciliana, che la città era sprovvista di guarnigione armata dato che il 10 maggio era stata insensatamente richiamata a Palermo dopo aver sedato un’insurrezione e che i due pennoni che si vedevano a distanza non erano di navi meridionali ma appartenevano a due cannoniere inglesi: l'Argus e l'Intrepid.
"Nel porto erano ancorate dal 10 maggio due navi militari inglesi, l’”Argus” e l’”Intrepid”, inviate dall’Ammiragliato per proteggere i sudditi britannici che vivevano a Marsala. Quando Garibaldi decise di dirigere la prua del “Piemonte” verso la città, incontrò un barcone da pesca. Al timone c’era un favignanese, Alberto Strazzera. Erano le 11 quando si vide piombare addosso le due navi cariche di soldati in camicia rossa. Fu tirato a bordo e interrogato. Garibaldi pensava che una delle due imbarcazioni ormeggiate fosse borbonica e da Strazzera voleva sapere com’era la situazione. L’uomo, spaventatissimo, disse che la squadra borbonica era partita in perlustrazione. La barca fu agganciata e Strazzera fu messo al timone del “Piemonte” per guidare l’approdo, seguita dalla “Lombardia”, più grande e pesante, che finì per incagliarsi. Sempre dubbioso sulla nazionalità della nave ormeggiata, Garibaldi meditava di assaltarla e di abbordarla. Solo avvicinandosi scoprì che era inglese."
Ma quali importanti informazioni diede Alberto Strazzera?
Il pescatore, dunque, informò Garibaldi che le navi meridionali di pattuglia avevano lasciato la città siciliana, che la città era sprovvista di guarnigione armata dato che il 10 maggio era stata insensatamente richiamata a Palermo dopo aver sedato un’insurrezione e che i due pennoni che si vedevano a distanza non erano di navi meridionali ma appartenevano a due cannoniere inglesi: l'Argus e l'Intrepid.
Il viaggio, raccontato da Giuseppe Cesare Abba
9:10 AM
Pubblicato da
Cl@sse 2.0
0
commenti
I vapori Lombardo e il Piemonte si erano distanziati in prossimità delle Egadi.
Ma vediamo cosa dice la cronaca del viaggio dei Mille raccontata da un testimone oculare, il patriota Giuseppe Cesare Abba.
"..... Ma assai dopo il mezzo di quella notte dal 10 all’11, Garibaldi giunto presso l’isoletta di Maretimo, che nel gruppo delle egadi è la più lontana dalla costa di Sicilia, deliberò di fermarsi celato dall’isoletta e a lumi spenti, per aspettare il Lombardo. Da ponente e da tramontana vedeva i fanali delle navi napolitane in crociera, e in quei momenti doveva parergli d’esser ne’ suoi tempi quasi favolosi di Rio Grande d’America. stato un pezzo in quel silenzio come in agguato, inquieto pel Lombardo che non appariva, tornò indietro per cercarlo. E coloro che stavano sul Lombardo e che a quell’ora vegliavano, quando rividero il Piemonte lo credettero una nave nemica che corresse loro incontro a investirli. lo credette lo stesso Bixio. piantato sul suo ponte, egli fece levar su tutti e inastar le baionette; comandò al macchinista di dar tutto il vapore, e al timoniere di voltar tutto a sinistra, per andare alla disperata addosso a quel legno. a prora simone schiaffino, capitan Carlo Burattini d’Ancona, Jacopo Sgaralino di Livorno, con dietro una folla, stavano pronti per lanciarsi all’arrembaggio, tutto il ponte del Lombardo fremeva, e mancava poco al grand’urto. Ma allora sonò la voce di Garibaldi:
"..... Ma assai dopo il mezzo di quella notte dal 10 all’11, Garibaldi giunto presso l’isoletta di Maretimo, che nel gruppo delle egadi è la più lontana dalla costa di Sicilia, deliberò di fermarsi celato dall’isoletta e a lumi spenti, per aspettare il Lombardo. Da ponente e da tramontana vedeva i fanali delle navi napolitane in crociera, e in quei momenti doveva parergli d’esser ne’ suoi tempi quasi favolosi di Rio Grande d’America. stato un pezzo in quel silenzio come in agguato, inquieto pel Lombardo che non appariva, tornò indietro per cercarlo. E coloro che stavano sul Lombardo e che a quell’ora vegliavano, quando rividero il Piemonte lo credettero una nave nemica che corresse loro incontro a investirli. lo credette lo stesso Bixio. piantato sul suo ponte, egli fece levar su tutti e inastar le baionette; comandò al macchinista di dar tutto il vapore, e al timoniere di voltar tutto a sinistra, per andare alla disperata addosso a quel legno. a prora simone schiaffino, capitan Carlo Burattini d’Ancona, Jacopo Sgaralino di Livorno, con dietro una folla, stavano pronti per lanciarsi all’arrembaggio, tutto il ponte del Lombardo fremeva, e mancava poco al grand’urto. Ma allora sonò la voce di Garibaldi:
- Capitan Bixio!
- Generale! - urlò Bixio.
- Indietro! Macchina indietro! Generale, non vedevo i fanali.
- E non vedete che siamo in mezzo alla crociera nemica? -
La commozione era stata così grande, il passaggio dallo sgomento, dall’ira, dalla ferocia alla gioia così repentino, che la parola ‘crociera’ non fece quasi niun senso, e tutto fino a un certo segno tornò quieto. Intanto Garibaldi e Bixio si concertarono, poi i due vapori ripresero la via l’un presso l’altro verso l’Africa, sempre però il Piemonte un po’ avanti. Così andarono fino all’alba, e per le prime ore del mattino, in quell’acque tra la Sicilia e le coste di Barberia, ma senza mai perder di vista il gruppo delle Egadi; Levanzo lontana, Maretimo più in qua, ancor più in qua verso loro la Favignana. A bordo del Lombardo un Galigarsia, nativo di quell’isoletta, povero milite che doveva morire quattro giorni dipoi a Calatafimi, diceva ad un gruppo di quei suoi compagni che in quell’isoletta così bella v’era un carcere profondissimo sotto il livello del mare, dove stavano chiusi sette compagni di Pisacane sopravvissuti all’eccidio di Sapri. Condannati al patibolo e poi graziati, morivano ogni ora un po’ in quella fossa maledetta. Ma il sentimento del pericolo presente, la maravigliosa vista delle cose in contrasto col disgustoso stato in cui tutti si trovavano, pigiati da tanto tempo su quel legno, non lasciavano quasi posto alla pietà per chi dolorava altrove. Del resto, l’ora era decisiva: o presto quei miseri sarebbero usciti liberi, o avrebbero avuto dei nuovi compagni....."
Le navi: Il Lombardo e il Piemonte
9:10 AM
Pubblicato da
Cl@sse 2.0
0
commenti
Le navi che trasportarono Garibaldi ed i suoi uomini furono due: il Lombardo ed il Piemonte.
Qui è raffigurata la partenza da Quarto
Questo a sinistra è lo scafo del Lombardo
con ruota a pala e motore a biella.
Qui è raffigurata la partenza da Quarto
Questo a sinistra è lo scafo del Lombardo
con ruota a pala e motore a biella.
I castelli prigione: S. Caterina
9:06 AM
Pubblicato da
Cl@sse 2.0
0
commenti
Il forte Santa Caterina si colloca sul punto più alto della montagna omonima. E’ un superbo edificio nelle cui cupe celle furono rinchiusi alcuni dei più gloriosi eroi del Risorgimento. Infatti, nel 1858 nelle grotte del castello erano prigionieri Giovanni Nicotera con altri componenti della sfortunata spedizione di Sapri capitanata da Carlo Pisacane.
Il castello, nel suo aspetto attuale, si articola in una pianta rettangolare con tre corpi di fabbrica sporgenti. In realtà non è sempre agevole distinguere le parti più antiche dai rifacimenti e presunti ampliamenti del XVI/XVII secolo. Si presume che in origine il fortilizio medievale fosse una grande torre.
Un geografo arabo del IX secolo, Ibn Khurdadhbeh, ricorda Favignana in qualità di gazirah ar-rabib, cioè "isola del romito". La medesima testimonianza viene riportata nel 1185 da Ibn Jubair, il quale ricorda sull'isola una sorta di castello abitato da un romito. Nel 1272 si documenta una tonnara, mentre due anni dopo, nel 1274, si menziona un «castrum Favognane custoditur per castellanum Palmerium Abbatem». Il medesimo stato giuridico si ripete in un documento del 1281. Nell'anno 1355 l'«insula Famignane cum castro» rientra nella lista delle terre e dei castelli feudali. Sembra, comunque, che nel 1398 Favignana appartenga al demanio reale. Undici anni dopo, nel 1409, tengono il castello un castellano e quattro servienti.
Nnel 1498 Andrea Rizzo, signore di Favignana, lo amplia per affrontare meglio gli attacchi corsari.Nel 1655 esso viene ulteriormente fortificato dagli Aragonesi. Il suo triste destino di carcere ha inizio nel 1794, quando i Borboni cominciarono ad inviarvi i patrioti dei vari moti insurrezionali in condizioni di prigionia a dir poco inumane.La struttura dell'edificio viene trasformata in semaforo ed ospita impianti militari.
Il castello, nel suo aspetto attuale, si articola in una pianta rettangolare con tre corpi di fabbrica sporgenti. In realtà non è sempre agevole distinguere le parti più antiche dai rifacimenti e presunti ampliamenti del XVI/XVII secolo. Si presume che in origine il fortilizio medievale fosse una grande torre.
Un geografo arabo del IX secolo, Ibn Khurdadhbeh, ricorda Favignana in qualità di gazirah ar-rabib, cioè "isola del romito". La medesima testimonianza viene riportata nel 1185 da Ibn Jubair, il quale ricorda sull'isola una sorta di castello abitato da un romito. Nel 1272 si documenta una tonnara, mentre due anni dopo, nel 1274, si menziona un «castrum Favognane custoditur per castellanum Palmerium Abbatem». Il medesimo stato giuridico si ripete in un documento del 1281. Nell'anno 1355 l'«insula Famignane cum castro» rientra nella lista delle terre e dei castelli feudali. Sembra, comunque, che nel 1398 Favignana appartenga al demanio reale. Undici anni dopo, nel 1409, tengono il castello un castellano e quattro servienti.
Nnel 1498 Andrea Rizzo, signore di Favignana, lo amplia per affrontare meglio gli attacchi corsari.Nel 1655 esso viene ulteriormente fortificato dagli Aragonesi. Il suo triste destino di carcere ha inizio nel 1794, quando i Borboni cominciarono ad inviarvi i patrioti dei vari moti insurrezionali in condizioni di prigionia a dir poco inumane.La struttura dell'edificio viene trasformata in semaforo ed ospita impianti militari.
I castelli prigione: S. Giacomo
9:05 AM
Pubblicato da
Cl@sse 2.0
0
commenti
Il forte San Giacomo, costruito nello stesso periodo del forte di S. Caterina, è stato a lungo un carcere borbonico, anche se in esso le condizioni di vita dei detenuti sembravano essere meno dur.
La sua bellissima pianta a stella non è visibile più, poichè dagli anni '70 del secolo scorso, divenuto carcere di massima sicurezza, è stato circondato da un alto muro di cemento armato.
La sua bellissima pianta a stella non è visibile più, poichè dagli anni '70 del secolo scorso, divenuto carcere di massima sicurezza, è stato circondato da un alto muro di cemento armato.
I castelli prigione: Punta Troia
8:43 AM
Pubblicato da
Cl@sse 2.0
0
commenti
Il castello di Punta Troia venne edificato sul promontorio alto 116 metri che sporge in mare sull’estrema punta nord-est dell’isola, denominato Punta Troia.
Era prima una torre saracena e venne trasformato all’epoca normanna, per garantire l’isola dagli attacchi dei pirati.
Il castello venne dotato di due ampie cisterne per la raccolta dell’acqua piovana: la prima venne realizzata all’interno della fortezza, mentre la seconda sorse ai piedi del castello, fuori dalla cinta muraria e doveva servire per rifornire d’acqua i vascelli della regia corte, che si fermavani in una delle due cale alle falde del castello: Scalo Maestro e Cala Manione.
A quel tempo l’isola era disabitata, al castello invece viveva un gruppo di soldati spagnoli con le loro famiglie, che poi diedero inizio agli abitanti dell’isola.
Questi uomini erano costretti ad affrontare molte difficoltà pur di guadagnarsi i pochi soldi che dava loro lo stato.
Il 12 luglio 1755 il re, saputo lo stato di degrado del castello, autorizzò i lavori di restauro, ma le riparazioni eseguite nelle due cisterne non permisero che l’acqua piovana fosse trattenuta.
Ne periodo del Regno delle Due Sicile la cisterna venne prosciugata e trasformata in carcere duro, per decisione del re Ferdinando II, che vi fece rinchiudere i detenuti politici.
La fossa così ospitò i patrioti della Repubblica Partenopea.
Ne castello di Punta Troia vennero rinchiusi per lungo tempo il generale Bassetti, l’avvocato Nicola Ricciardi, il prete Vincenzo Guglielmi, l’avvocato Niccolò Turci, il tenente Ferdinando Aprile e il generale Guglielmo Pepe.
Il carcere rimase attivo fino al 1844 quando il re, visitando il castello, ne decise la chiusura.
La fortezza di Punta Troia venne successivamente trasformata in semaforo militare, che rimase in esercizio fino all’ultima guerra.
Iscriviti a:
Post (Atom)